(Iran, 2013, Drammatico)
Regia: Kiarash Asadizadeh
Cast: Saber Abar, Shabnam Moghadami, Roya Javidnia, Ehsan Amani, Pantea Panahiha, Mahsa Alafar, Mohammadreza Ghaffari, Nawal Sharifi, Sadaf Ahmadi, Mahana Noormohammadi
Distribuzione italiana: IMAGICA (versione originale sottotitolata in italiano)
Durata: 94'
Quattro
donne, quattro storie, un unico destino: quello delle donne iraniane, che Acrid ci mostra senza filtri e senza
ipocrisie. Classe 1981, l’esordiente regista Kiarash Asadizadeh dimostra in
questo suo primo lungometraggio uno sguardo lucido e consapevole, in grado di
scavare a fondo nelle ferite aperte della società iraniana e nelle vite di
donne apparentemente molto diverse tra loro, ma accomunate dalla voglia di
combattere e di decidere della propria vita, in un Paese che cambia ma che allo
stesso tempo rimane inesorabilmente fermo. Adottando una struttura circolare
che richiama un altro celebre film iraniano, Il Cerchio di Jafar Panahi, vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel
2000, Acrid segue le storie di
quattro donne distanti per età, professione, ceto sociale, tutte alle prese con
l’indifferenza e l’infedeltà dei loro mariti e fidanzati e costrette a fare i
conti con la dolorosa realtà del tradimento. Sullo sfondo, la città di Teheran
nella quale modernità e arretratezza coesistono in stridente contrapposizione.
Soheila
è un medico che lavora in un ospedale per bambini malati, ed è costretta a
fronteggiare il comportamento freddo e irritante del marito Jalal, ginecologo
il cui “passatempo” preferito è quello di assumere nel suo studio solo
segretarie giovani e nubili. L’ultima assunta è Azar, che all’insaputa di Jalal
è ancora sposata con Khosro, dal quale si sta per separare. I continui litigi a
casa rendono la vita di Azar un inferno. Khosro (interpretato da Saber Abar,
attore già visto nel film About Elly che diede visibilità internazionale al
regista premio Oscar Asghar Farhadi) dal canto suo frequenta già da tempo una
donna divorziata, Simin, docente di chimica all’università, che è costretta a
prendersi cura della sorella vessata da un marito alcolista e violento. Tra le
studentesse di Simin c’è Mahsa, follemente innamorata del suo ragazzo, anche
lei comincia a sospettare della sua fedeltà. Nel finale si scoprirà un
ulteriore legame tra Mahsa e i personaggi della prima storia, in un’ideale
chiusura del cerchio.
Ciò
che colpisce in positivo del film, oltre alla ben congegnata struttura
narrativa, è la rappresentazione non scontata della condizione delle donne
nell’Iran contemporaneo. Lo sguardo del regista è sicuramente molto critico,
nel raccontare la vita di tutti i giorni di queste donne costrette a
fronteggiare il peso della tradizione e una serie di pressioni sociali che sono
fonte continua di frustrazione e risentimento. Il titolo stesso – che significa
“acre”, “aspro” – fa riferimento all’amarezza del tradimento, che le
protagoniste sono costrette a sopportare in silenzio in un contesto culturale
che tende a perdonare tutto agli uomini, e richiede invece alle donne di
sottostare rigidamente alle convenzioni. In realtà però, la pellicola ci mostra
donne forti, che cercano in tutti i modi di vivere la loro vita con orgoglio e
dignità, smarcandosi dalla presenza ingombrante dell’autorità maschile. Le
donne del film studiano, lavorano, lottano disperatamente per la propria
autonomia, e di fronte al dolore e alla sofferenza che gli uomini procurano
loro non cadono e, pur sconfitte e abbattute, rimangono in piedi e provano
comunque a seguire la loro strada.
Come
dice il regista, la famiglia iraniana moderna e i suoi problemi sono il tema
principale del film. “Alcuni anni fa, la famiglia contava molto per il mio
popolo. Famiglia e matrimonio erano parole piene di amore e rispetto. Purtroppo
adesso, dopo molti anni, le fondamenta alla base delle famiglie sono diventate
instabili, in parte per colpa della società e in parte per colpa della famiglia
stessa. Tutti questi problemi hanno fatto si che io creassi il mio primo lungometraggio.
Questo film rappresenta in parte la realtà delle odierne famiglie iraniane. Non
si tratta né di una diagnosi né necessariamente di una risoluzione ai problemi.
Il film vuole semplicemente essere un avvertimento per quelle famiglie che non
sono consapevoli del loro status, non sono consapevoli, fino in fondo, di
vivere nella menzogna e influenzare e colpire persone innocenti, vittime di
colpe e violenze perpetrate da altre persone.” Un discorso in larga parte
applicabile anche alla società occidentale del XXI secolo nella quale viviamo,
che dà a questo film una valenza che va al di là del contesto molto particolare
in cui è ambientato.
Acrid è quindi una visione particolare, un film
fresco di un regista emergente, che a dispetto di un tono a tratti un po’
troppo didascalico, è in grado di far riflettere sui problemi della famiglia e
dei rapporti interpersonali tra uomini e donne nel mondo di oggi, anche al di
fuori di una realtà complessa e contradditoria come quella iraniana, e per
questo consigliato a tutti.
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