martedì 11 agosto 2015

ACRID - Storie di donne


(Iran, 2013, Drammatico)
Regia: Kiarash Asadizadeh
Cast: Saber Abar, Shabnam Moghadami, Roya Javidnia, Ehsan Amani, Pantea Panahiha, Mahsa Alafar, Mohammadreza Ghaffari, Nawal Sharifi, Sadaf Ahmadi, Mahana Noormohammadi
Distribuzione italiana: IMAGICA (versione originale sottotitolata in italiano)
Durata: 94'



Quattro donne, quattro storie, un unico destino: quello delle donne iraniane, che Acrid ci mostra senza filtri e senza ipocrisie. Classe 1981, l’esordiente regista Kiarash Asadizadeh dimostra in questo suo primo lungometraggio uno sguardo lucido e consapevole, in grado di scavare a fondo nelle ferite aperte della società iraniana e nelle vite di donne apparentemente molto diverse tra loro, ma accomunate dalla voglia di combattere e di decidere della propria vita, in un Paese che cambia ma che allo stesso tempo rimane inesorabilmente fermo. Adottando una struttura circolare che richiama un altro celebre film iraniano, Il Cerchio di Jafar Panahi, vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel 2000, Acrid segue le storie di quattro donne distanti per età, professione, ceto sociale, tutte alle prese con l’indifferenza e l’infedeltà dei loro mariti e fidanzati e costrette a fare i conti con la dolorosa realtà del tradimento. Sullo sfondo, la città di Teheran nella quale modernità e arretratezza coesistono in stridente contrapposizione.



Soheila è un medico che lavora in un ospedale per bambini malati, ed è costretta a fronteggiare il comportamento freddo e irritante del marito Jalal, ginecologo il cui “passatempo” preferito è quello di assumere nel suo studio solo segretarie giovani e nubili. L’ultima assunta è Azar, che all’insaputa di Jalal è ancora sposata con Khosro, dal quale si sta per separare. I continui litigi a casa rendono la vita di Azar un inferno. Khosro (interpretato da Saber Abar, attore già visto nel film About Elly che diede visibilità internazionale al regista premio Oscar Asghar Farhadi) dal canto suo frequenta già da tempo una donna divorziata, Simin, docente di chimica all’università, che è costretta a prendersi cura della sorella vessata da un marito alcolista e violento. Tra le studentesse di Simin c’è Mahsa, follemente innamorata del suo ragazzo, anche lei comincia a sospettare della sua fedeltà. Nel finale si scoprirà un ulteriore legame tra Mahsa e i personaggi della prima storia, in un’ideale chiusura del cerchio.



Ciò che colpisce in positivo del film, oltre alla ben congegnata struttura narrativa, è la rappresentazione non scontata della condizione delle donne nell’Iran contemporaneo. Lo sguardo del regista è sicuramente molto critico, nel raccontare la vita di tutti i giorni di queste donne costrette a fronteggiare il peso della tradizione e una serie di pressioni sociali che sono fonte continua di frustrazione e risentimento. Il titolo stesso – che significa “acre”, “aspro” – fa riferimento all’amarezza del tradimento, che le protagoniste sono costrette a sopportare in silenzio in un contesto culturale che tende a perdonare tutto agli uomini, e richiede invece alle donne di sottostare rigidamente alle convenzioni. In realtà però, la pellicola ci mostra donne forti, che cercano in tutti i modi di vivere la loro vita con orgoglio e dignità, smarcandosi dalla presenza ingombrante dell’autorità maschile. Le donne del film studiano, lavorano, lottano disperatamente per la propria autonomia, e di fronte al dolore e alla sofferenza che gli uomini procurano loro non cadono e, pur sconfitte e abbattute, rimangono in piedi e provano comunque a seguire la loro strada.




Come dice il regista, la famiglia iraniana moderna e i suoi problemi sono il tema principale del film. “Alcuni anni fa, la famiglia contava molto per il mio popolo. Famiglia e matrimonio erano parole piene di amore e rispetto. Purtroppo adesso, dopo molti anni, le fondamenta alla base delle famiglie sono diventate instabili, in parte per colpa della società e in parte per colpa della famiglia stessa. Tutti questi problemi hanno fatto si che io creassi il mio primo lungometraggio. Questo film rappresenta in parte la realtà delle odierne famiglie iraniane. Non si tratta né di una diagnosi né necessariamente di una risoluzione ai problemi. Il film vuole semplicemente essere un avvertimento per quelle famiglie che non sono consapevoli del loro status, non sono consapevoli, fino in fondo, di vivere nella menzogna e influenzare e colpire persone innocenti, vittime di colpe e violenze perpetrate da altre persone.” Un discorso in larga parte applicabile anche alla società occidentale del XXI secolo nella quale viviamo, che dà a questo film una valenza che va al di là del contesto molto particolare in cui è ambientato.




Acrid è quindi una visione particolare, un film fresco di un regista emergente, che a dispetto di un tono a tratti un po’ troppo didascalico, è in grado di far riflettere sui problemi della famiglia e dei rapporti interpersonali tra uomini e donne nel mondo di oggi, anche al di fuori di una realtà complessa e contradditoria come quella iraniana, e per questo consigliato a tutti.






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